In contatto con il mio sé superiore e nell’armonia dell’animale umano che ospita questo corpo.
Io sono una donna selvaggia.
Possiedo il mio corpo.
Possiedo il mio spirito.
Possiedo le mie scelte.
Possiedo la mia mente.
Il mio spirito è mio.
La mia volontà è in linea con il Divino.
Io sono prospera.
Io sono una regina perché io governo.
Io sono una guaritrice.
Io sono una donna di medicina.
Credo nell’amore.
Credo nella giustizia.
Credo nel sangue.
Credo nella legge naturale.
Io riconosco il mio potere.
Io sono una donna selvaggia.
Semino preghiere nella Terra.
Evoco la magia con le mie mani.
Io guarisco con le mie parole.
Distruggo con la mia rabbia.
Non mi dite di obbedire.
Non mi dite di sorridere.
Non mi dite di star calma.
O che io non sono abbastanza.
Non ditemi come agisce una signora, o come essere una donna, o che cosa pensate che dovrei fare.
Io sono una donna selvaggia.
Una donna senza legge.
Un fiore selvatico.
Una leonessa di montagna.
Una scimmia magica.
Un cacciatore.
Una strega.
Un guerriero.
Un’amante.
Una madre.
Una sacerdotessa.
Una donna di medicina.
Io sono fatta di buio e luce.
Io sono l’equilibrio.
Invoco la Dea della distruzione e la Dea della nascita.
Io sono una selvaggia.
Io sono libera.
Io appartengo a me.
Credo nel piantare fiori e nel sollevare i bambini.
Credo nella protezione e nella morbidezza.
E non voglio scusarmi per nessuna parte di me.
Clarissa Pinkola Estes
Molti sono i modi per tornare a casa: alcuni profani, alcuni divini. Rileggere brani di libri o poesie che ci hanno commosse.
Passare anche soltanto pochi minuti in riva a un fiume, accanto a un corso d'acqua o in una caletta.
Sdraiarsi per terra nella luce che filtra tra gli alberi.
Stare con la persona amata senza i bambini attorno.
Sedere sotto il portico a sgranare, sbucciare o rammendare qualcosa.
Camminare o guidare per un'ora, senza meta, e poi tornare.
Prendere un autobus con destinazione ignota.
Tamburellare con le dita ascoltando musica.
Salutare il sole che sorge.
Raggiungere un posto dove le luci non interferiscono con il cielo notturno.
Pregare.
Stare con un amico speciale.
Sedere su un ponte lasciando ciondolare le gambe.
Tener in braccio un bambino piccolo.
Sedere in un bar, accanto alla finestra, e scrivere.
Sedere in una radura tra gli alberi.
Asciugarsi i capelli al sole.
Aprire le mani sotto la pioggia.
Curare le piante e sporcarsi ben bene le mani di terra.
Contemplare la bellezza, la grazia, la commovente fragilità degli esseri umani. (...)
Tanti sono i veicoli attraverso o con i quali le donne raggiungono casa: musica, arte, bosco, spuma dell'oceano, levarsi del sole, solitudine. (...)
Per alcune, casa è la ripresa di un'antica impresa abbandonata. Ricominciano a cantare dopo aver trovato per anni ottime ragioni per non farlo. Si impegnano nell'apprendimento di qualcosa che un tempo avevano amato di cuore. Ricercano le persone e le cose perdute nella vita. Ritrovano la voce e scrivono. Si riposano. Si appropriano di un angolino del mondo. Mettono in atto decisioni immense o intense. Fanno cose che lasciano un'impronta.Per alcune, casa è un bosco, un deserto, un mare.
In verità, la casa è olografa.
E si realizza in tutta la sua potenza anche in un solo albero, in un cactus solitario nella vetrina di un fiorista, in una pozza d'acqua ferma, nella foglia gialla caduta sull'asfalto, nel vaso di argilla rossa in attesa di un ciuffetto di radici, in una goccia d'acqua sulla pelle.
Se vi concentrerete con gli occhi dell'anima, vedrete la casa in moltissimi posti.
"Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estès